mercoledì 20 maggio 2015

La cosmesi egizia tra religione ed estetica


Una delle cause del fascino sempreverde dell'antico Egitto, è lo stato cristallizzato di bellezza - immune da vecchiaia, brutture e malattie - con cui i Faraoni, i notabili e le loro consorti hanno consegnato ai posteri le loro immagini dipinte e scolpite. Il dono dell'eterna giovinezza faceva parte delle delizie dell'aldilà: come nella loro vita terrena il defunto e la defunta non si facevano mancare la loro fornitura perenne di cosmetici contenuti in meravigliosi e raffinati beauty case che custodivano lo specchio in metallo lucidato, i vasetti, i balsamari e i cucchiai per le creme, le pinzette per depilarsi le sopracciglia e i bastoncini per il trucco.L'uso di questi prodotti è attestato nel paese fin dai tempi più antichi: nata come fenomeno religioso, la cosmesi si esprimeva negli interventi estetici sul corpo del Faraone, nei riti di iniziazione, nelle operazioni di imbalsamazione, nella decorazione giornaliera delle statue degli dei accompagnati sempre da formule e preghiere. Come è noto gli egiziani adoravano animali e piante che collegavano alla creazione, alla morte e alla resurrezione: truccarsi per loro non era un
semplice atto di abbellimento ma la premessa per l'invenzione di un corpo incorruttibile. la cosmesi era spesso associata alla medicina e alla magia, per cui non meraviglia che gli ingredienti per queste pratiche fossero spesso i medesimi, mentre le varie ricette - parzialmente giunte fino a noi grazie ai cosiddetti "papiri medici" - venivano elaborate salmodiando formule scaramantiche per propiziarsi l'aiuto degli dei e allontanare gli spiriti maligni.
Dobbiamo ad Erodoto la descrizione della fertilità del terra inondata dal Nilo da cui gli egizi traevano senza fatica piante e frutti: tra le moltissime specie a disposizione, particolarmente apprezzate per uso cosmetico erano quelle oleose e resinose ricavate da alcuni tipi di palma, e quelle intensamente profumate come l’incenso, la mirra, il cinnamomo, il ginepro e il coriandolo. Per le classi povere c’era invece l’olio di ricino, che – racconta Erodoto – era usato per le lampade e per ungere il corpo ed emetteva “un odore nauseabondo”. 
Nelle fantasiose ricette  rientrano anche animali magici: per prevenire i capelli bianchi una di queste suggerisce di “spalmarsi con un unguento fatto con la vertebra di un uccello mescolata a puro laudano, poi stendere la mano sul dorso di un nibbio vivo e appoggiare la testa su una rondine viva”. Il significato simbolico che gli egizi attribuivano a questo grazioso migratore, che spariva per luoghi misteriosi e puntualmente  ricompariva ogni anno, era collegato all’idea che portasse via con sé il male e la negatività. Tra le varie forme di magia, molto praticata era quella di tipo “simpatico”, secondo la credenza, arrivata fino a noi tramite l’omeopatia, che il simile cura il simile: così una curiosa ricetta per scurire le chiome mescola preparati ricavati da animali rigorosamente neri: sangue del corno di un bue, fegato d’asino, un girino e un topo.
 Nella vita di tutti i giorni la cura del corpo era fondamentale: in una popolazione che non superava un livello medio di vita di quarant’anni, si cercava a tutti i costi di combattere la vecchiaia e mantenere  il fisico in forma e in buona salute. Le sostanze cosmetiche e aromatiche e in generale tutto ciò che serviva ad abbellire erano talmente importanti che, per chi vi lavorava all’interno del  palazzo reale, erano perfino previste cariche onorifiche come quella di “soprastante e distributore di unguenti”. La bellezza  inoltre, era legata come oggi alla capacità di conquistare amore e avere rapporti sessuali soddisfacenti. Dal momento che la sessualità non era considerata un tabù ma semmai una promessa di rinascita, la seduzione femminile si concentrava oltre che sugli occhi, sui fianchi e il seno, le due zone del corpo collegate con la maternità; la donna ideale infatti era slanciata ma aveva i fianchi arrotondati e il ventre leggermente sporgente.
Gli egiziani abbienti e beneducati si detergevano al risveglio e prima e dopo i pasti principali; al posto del  sapone, ancora sconosciuto, si usava una pasta a base di cenere e di argilla, calcite, sale, miele, natron, un carbonato di sodio idrato che si estraeva in varie zone del paese. Lo si adoperava anche per l’igiene orale, sfregandoselo sui denti  con un ramoscello sfilacciato. Nonostante la cura della bocca e l’abitudine di masticare preparati dall’aroma molto intenso, l’alito degli egizi doveva essere piuttosto pesante visto che in molte mummie – come quella del novantenne  Ramesse II – si sono scoperti carie ed ascessi dentali. Poiché la pelle liscia era un importante elemento di seduzione, uomini e donne proseguivano la toilette rasandosi il corpo: il papiro Ebers riporta una curiosa ricetta depilatoria che consiste nel bollire e applicare sulla parte ossa di corvo carbonizzate, escrementi di mosca, olio, succo di sicomoro, gomma, melone. Dopo questi trattamenti ci si frizionava con prodotti a base di incenso o altre pomate odorose. Nel clima torrido e assolato dell’Egitto ci si ungeva la pelle per evitare rughe, screpolature o dolorose scottature. Questa pratica non era limitata alla sola classe agiata, ma estesa a tutta la popolazione: prova ne sia che sotto Ramesse III vi fu uno sciopero degli operai addetti alla necropoli di Tebe, perché non venivano consegnate le derrate alimentari, la birra e le scorte di oli solari.
Per le signore esistevano numerose maschere di bellezza, descritte dai papiri con termini miracolistici: l’olio di mandorle serviva “per trasformare un vecchio in giovane”, mentre per altre ricette analoghe si utilizzavano miele, natron rosso e sale marino mescolati in una massa omogenea; per schiarire l’epidermide e renderla perfetta era invece opportuno aggiungere polvere d’alabastro. L’invecchiamento era temutissimo e combattuto con preparati specifici contro le rughe a base di resine aromatiche, cera, olio ottenuto dall’albero di moringa e dal calamo, una pianta palustre le cui foglie profumano di limone. Un’altra formula per ringiovanire contiene: “fiele di bue, olio, gomma, uovo di struzzo in polvere, olio di pino, miele, farina di alabastro, latte materno, fritta egizia (un pigmento ottenuto mescolando tra loro rame e ossido di calcio). Resine, mucillagini, sostanze animali e vegetali venivano macinati in casa, pestati con cura in un mortaio e applicati sul viso ogni giorno. Per debellare la concorrenza di altre donne e distruggerne la bellezza si ricorreva alla magia nera: per far perdere i capelli a una rivale bisognava cuocere nel grasso un verme, una salamandra e una foglia di loto e spalmarle il tutto in testa, sempre che la malcapitata se lo lasciasse fare. Tra i cosmetici propriamente detti vi erano quelli per il viso e per il corpo, le labbra, le unghie e gli occhi. L’uso di sottolinearli era collegato al mito di Horus, il cui occhio era un potente amuleto che simboleggiava tra l’altro buona salute e prosperità. Questo tipo di trucco era adoperato fin dall’infanzia sia come protezione dalle malattie oftalmiche molto diffuse a causa del clima, del vento secco e degli insetti, sia contro le influenze negative del malocchio. Il nero del contorno – che con voce araba chiamiamo kohl - era ricavato da sostanze oggi considerate tossiche, come la galena e l’antimonio mescolate a grasso animale, resine e linfa di sicomoro, mentre il verde dell’ombretto era ottenuto dalla malachite polverizzata.
Per il trucco del resto del corpo si adoperavano altri coloranti: le guance e la bocca erano dipinte con ocra rossa, le unghie con l’henné. Il tutto era posto sotto la protezione di varie divinità tra cui  il brutto e deforme nano Bes – rappresentato su oggetti di uso domestico e sui vasi per cosmetici – incaricato di proteggere madri e neonati dagli spiriti maligni che lui scacciava facendo smorfie e mostrando la lingua.

Fonti:
Giuliano Imperiali, L’antica medicina egizia, Xenia, 1995
Enrichetta Leospo, Mario Tosi, La donna nell’antico Egitto, Giunti, 1997
Paolo Rovesti, alla ricerca dei cosmetici perduti, Blow-up, Venezia, 1975

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