lunedì 3 giugno 2013

I blue jeans

I blue jeans iniziarono la loro lunga storia nella zona di Genova, dove un'antica e consolidata tradizione tessile,che si basava sull'esportazione di manufatti liguri, costituiva una voce importante dell'economia locale. La parola jean deriva probabilmente dal francese Jean, e sta per "serge de Nimes", un tessuto pesante creato nel XVIII secolo. Blue jeans invece, è termine inglese che fa riferimento al "bleu de Genes", ossia blu di Genova. Gia nel XVI secolo tuttavia, nella città piemontese di Chieri, si produceva un fustagno blu che serviva a confezionare sacchi che dovevano coprire le merci portuali. I mercanti inglesi che facevano sosta nel porto, apprezzarono in modo particolare questa stoffa ligure, di discreta qualità e di modico prezzo. Il tessuto era colorato in blu  con la pianta dell'indaco, conosciuta volgarmente col nome di guado.
Nel 1853, un commerciante ebreo di origine bavarese, Levi Strauss, aprì a San Francisco un emporio che vendeva oggetti utili agli avventurieri impegnati nella corsa all'oro. Cominciò a confezionare anche abiti da lavoro, utilizzando tessuto per tende, che tuttavia si dimostrò poco resistente. 
Alla ricerca di un materiale più idoneo e robusto, Strauss iniziò a utilizzare il denim, con l'idea di approfittare della sempre maggior richiesta di abiti da lavoro nelle miniere, di coperture per i conestoga, ossia i carri dei pionieri, nonché di vele. Uno dei suoi clienti, il sarto Jacob Davis, diventò suo socio: i due idearono insieme  il primo vestito in jeans denim, inventando anche con grande successo la salopette. Gli abiti da loro creati avevano le doppie cuciture e molte tasche rinforzate da rivetti di rame, che ne diventeranno uno degli elementi caratteristici. Nel 1873 Strauss e Davis decisero di brevettare il loro tessuto.
I "genovesi" piacquero anche a Giuseppe Garibaldi, che li indossò assieme a molti dei suoi garibaldini durante lo sbarco dei Mille a Marsala. Oggi quei pantaloni sono conservati al Museo centrale del Risorgimento al Vittoriano.
Negli anni Cinquanta i jeans fecero il loro ingresso dirompente sugli schermi di Hollywood: nel film "Il selvaggio", Marlon Brando li accompagnava a un giubbotto di pelle nera, noto da noi come "chiodo". A cavallo di una  Triumph  Thunerbird 6T, l'attore impersonava il malessere giovanile di quegli anni, che si sfogava con comportamenti spacconi e aggressivi. Nel film "La valle dell'Eden" James Dean portava camicia denim e jeans, traducendo la frustrazione e al contempo la voglia di arrivare dei ragazzi americani. 
Grazie a questi film, i jeans cominciarono ad essere conosciuti oltre oceano, anche se in Europa chi li portava veniva vituperato come un pericoloso teppistello. Il successo mondiale arrivò negli anni Sessanta con la musica rock, quando le band che affollavano stadi e piazze li adottarono assieme a t-shirt coloratissime. Nel 1969 a Woodstock, si tenne il primo festival "di pace, musica e amore", a cui parteciparono migliaia di giovani che indossavano i mitici pantaloni blu; per loro il jeans era una sorta di seconda pelle alternativa alla nudità.Durante la contestazione giovanile degli stessi anni, i manifestanti del Maggio francese portavano i jeans. 
L'indumento era in piena contraddizione con le idee comuniste che provenivano dai paesi del Soviet, in cui questi pantaloni erano proibiti e contrabbandati e dove i componenti di un gruppo rock, furono addirittura messi in carcere, perché i jeans esprimevano sentimenti "antirivoluzionari". Oltre la cortina di ferro non si scherzava, ma non per questo il potere riuscì a fermare il successo dei jeans. Chi andava in Russia negli stessi anni, scambiava jeans in cambio di oggetti d'arte infinitamente più preziosi come le icone bizantine. 
Nella Cina di Mao, era stata invece imposta la grigia uniforme del regime, mentre durante la Rivoluzione culturale, era molto pericoloso indossare i pantaloni che tanto successo avevano avuto nei paesi dei bianchi.
Per la Russia, i jeans erano talmente innovativi e rivoluzionari, che si può dire che la loro diffusione abbia fatto molto, dal punto di vista culturale, per la caduta del muro di Berlino. Finito il comunismo infatti, i pantaloni occidentali si affermarono alla luce del sole, e fu addirittura inventato il modello Perestroika in onore di MIchail Gorbiaciof.
Nel 1923 in Turchia, il generale e dittatore Ataturk, aveva imposto una radicale modernizzazione, introducendo leggi laiche che si ispiravano addirittura a quelle svizzere. Ataturk abolì qualsiasi abito tradizionale, vietò il velo islamico, introdusse perfino la parità dei sessi, il suffragio universale, e il calendario gregoriano. La Turchia si trasformò quindi in un paese moderno permettendo così la diffusione dei jeans occidentali; alla fine degli anni Novanta tuttavia, le spinte integraliste hanno portato al ritorno del burka e della veste lunga per le donne, accusate di scoprirsi troppo e di indossare abiti maschili.
Intanto, sull'onda delle aspirazioni spirituali e della voglia di misticismo dei "figli dei fiori", nacquero marchi il cui nome si rifaceva provocatoriamente al Vangelo: il primo jeans italiano, prodotto a partire dal 1971,  si chiamava infatti Jesus. Protagonista di dirompenti campagne pubblicitarie affidate a Oliviero Toscani ed Emanuele Pirella, Jesus comparve sui manifesti con un'immagine che raffigurava un personaggio dal sesso dubbio, che esibiva pantaloni sbottonati fin quasi ai peli pubici, sottolineato dallo slogan "non avrai altro jeans all'infuori di me". Ancor più celebre fu la campagna lanciata poco tempo dopo, che mostrava le provocanti natiche della modella Donna Jordan, solo parzialmente coperte da jean cortissimi e succinti. 
Le polemiche non si contarono, da quelle dell'Osservatore romano" alla critica molto più celebre di Pier Paolo Pasolini, pubblicata sul Corriere della sera col titolo "Il folle slogan dei jeans Jesus". "Non c'è da stupirsi: la Chiesa non può reagire" - afferma Pasolini - perché ha stretto con la borghesia un'alleanza suicida, un patto col diavolo ben peggiore del modus vivendi trovato col Fascismo, regime che non l'aveva neppur scalfita". Lo scrittore continua poi sottolineando il cinismo che macchia per l'ennesima volta la storia della Chiesa, mentre il nuovo spirito della seconda rivoluzione industriale avanza, accompagnato da un'universale mutazione dei valori storici e dall'edonismo proposto come nuova religione.
Come affermò Pasolini, l'industria si era impadronita e aveva commercializzato i nuovi ideali giovanili di libertà ed uguaglianza: un altro lancio pubblicitario, mostrava una camicia in denim con uno spazzolino da denti nel taschino, come a dire "solo questo ti basta per andare dove vuoi"; sempre verso la fine degli anni Settanta inoltre, le rivendicazioni femministe di parità tra i sessi, indussero le imprese a inventare completi jeans unisex, pantaloni, camicia e cappello compresi.
Dagli anni Ottanta, con l'avvento del Made in Italy, il jeans entrò a far parte delle collezioni dei principali stilisti: da Giorgio Armani a Gianni Versace, da Gianfranco Ferrè a Dolce e Gabbana.  I modelli si erano andati moltiplicando: tra i più famosi i jeans a zampa d'elefante che, alla fine degli anni Sessanta, avevano ripreso i vecchi pantaloni marinareschi. Dopo la contestazione i celebri pantaloni, che ormai si compravano anche a poco prezzo nei mercatini,  dovevano essere sdruciti, mentre le ragazze li portavano con applicazioni di fiori e ricami. Nell'epoca della cosiddetta "liberazione sessuale" invece, i maschi si scolorirono appositamente il tessuto all'altezza del pube. Alla fine del secolo scorso andarono di moda jeans talmente lunghi da essere calpestati e sfilacciati dalle scarpe; si continuò poi con modelli a sigaretta e di vari colori, dal bianco, al grigio, al rosso, al rosa. In seguito si spostò il cavallo sopra la vita o all'altezza delle ginocchia, con la cintura talmente bassa da mostrare le mutande o addirittura le natiche. Da qualche anno infine, costosissimi jeans di marca sono realizzati in tessuto "delavé" e tagliuzzati ad arte. Chi non può permetterseli si arrangia con una lametta casalinga. 
Nel novembre 2004, Genova commemorò il suo primato storico su questi pantaloni, esponendo nel porto antico un modello alto 18 metri e confezionato con seicento paia di vecchi jeans.


Link:
http://it.wikipedia.org/wiki/Blue-jeans://
ilsognodiunacosa.wordpress.com/2010/12/19/il-folle-slogan-dei-jeans-jesus-17-maggio-1973/

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